Tutti al giorno d’oggi ascoltiamo musica. Lo facciamo mentre guidiamo, mentre passeggiamo assorti tra le fila del supermercato, oppure ancora mentre facciamo jogging. La musica è intorno a noi, quasi quotidianamente. Eppure questo tipo di ascolto non è un ascolto dedicato: si tratta piuttosto di dare un “sottofondo sonoro” alle nostre attività. Forse è più corretto dire che in tali circostanze sentiamo della musica, anziché ascoltarla. Ascoltare è qualcosa di diverso, significa innanzitutto prestare attenzione, non solo percepire. Proprio questo è un aspetto essenziale che dovrebbe contraddistinguere l’audiofilo: l’approccio all’ascolto richiede una postura dedicata. Non possiamo ascoltare davvero se, nel frattempo, siamo impegnati a fare altro. Qualsiasi altra cosa, ad esempio leggere o ballare, richiede una partecipazione fisica, sensoriale ed emotiva, che distoglie l’ascoltatore da quello stato di concentrazione focalizzata necessario per ascoltare. Non è questione di fare i filosofi, è un fatto fisico che è facile comprendere se capiamo prima cosa si intende per ascolto critico che è alla base del concetto di ascolto a cui facciamo riferimento in questo articolo.
L’ascolto critico è un linguaggio, come la danza o la matematica, il cui scopo può essere duplice. Da un lato (quello affrontato in questo articolo) è di fornire dei parametri di valutazione della qualità di un impianto di riproduzione sonora (ossia in che misura l’impiando è in grado di riprodurre fedelmente un messaggio musicale, dandoci l’illusione che l’impianto sparisca e al suo posto compaiano, come per incanto, i musicisti intenti ad eseguire la loro performance). Dall’altro lato, invece, è la capacità di analizzare tecnicamente un brano musicale dal punto di vista della composizione, dell’esecuzione e dell’interpretazione (tenuto conto di aspetti storici del contesto in cui è vissuto l’autore e del significato attributo al messaggio musicale stesso). Questo secondo scopo può poi sfociare nella vera e propria critica musicale (di gran lunga al di fuori della portata di chi scrive). Ciò che possiamo dire è che, a prescindere dagli scopi specifici, l’ascolto critico non ha nulla a che vedere né con i gusti, né con il senso (altrettanto soggettivo) di bellezza. Si tratta invece di un approccio tecnico all’ascolto che mira ad analizzare un messaggio musicale (nel secondo caso) o il modo in cui tale messaggio viene riprodotto nella catena domestica (primo caso).
Trattandosi di un linguaggio, per poter parlare di ascolto critico è necessario acquisirne prima il vocabolario. Nella nostra accezione orientata alla valutazione di un impianto collocato in ambiente, uno dei termini che ne costituisce il vocabolario è la cosiddetta ricostruzione della scena (soundstage) che l’impianto è in grado di fornire. Questo paramentro è caratterizzato da due proprietà fisiche legate alla riproduzione del suono nell’ambiente di ascolto: l’ampiezza e la profondità (della scena “ricostruita”). Attraverso il soundstage caratterizziamo il modo in cui un impianto riproduce nell’ambiente dell’ascoltatore le dimensioni fisiche della presentazione musicale originale, dandoci l’illusione di essere davvero davanti ai musicisti mentre stanno suonando [Harley15]. Si tratta di un’illusione che è tanto più potente quanto migliori sono le qualità elettriche e acustiche di tutti i componenti della catena d’ascolto, a partire dall’ambiente. Collocandoci di fronte all’impianto, al centro della scena, dovremmo essere in grado di percepire il suono (in un’ipotetica sessione di ascolto critico) in modo da localizzare le percussioni alla nostra destra, il cantante al centro, il piano leggermente a sinistra e arretrato rispetto al basso, la chitarra elettrica all’estrema sinistra (il posizionamento appena descritto è prettamente illustrativo, ovviamente). Questa capacità di percepire il suono e ricostruire la tridimensionalità apparente della scena a partire da un segnale stereofonico è influenzata da molti fattori ma, soprattutto, richiede una postura dedicata in cui siamo totalmente focalizzati sul messaggio sonoro e su come esso viene percepito dai nostri sensi. Il nostro cervello non può fare altro, altrimenti perdiamo il focus, il grado giusto di attenzione per analizzare. Come facciamo, ad esempio, a ricostruire la profondità o l’ampiezza della scena, “ricostruendo” posizioni e distanze, se ci spostiamo in continuazione?
Il semplice esempio dell’attenzione focalizzata necessaria per ascoltare e ricostruire gli aspetti spaziali della scena riprodotta da un’impianto ci fa comprendere come non possiamo ascoltare e, allo stesso tempo, ballare, cucinare, fare le pulizie, fare jogging o qualsiasi altra attività. Come scrisse molto bene il musicologo Claudio Casini:
Ci si concentra nell’ascolto come nello sguardo per le arti figurative e nella lettura per le opere letterarie. Ma la concentrazione deve essere selettiva, attenta: non bisogna abbandonarsi alle vaghe sensazioni suscitate dai suoni […] [Casini95]
Quest’ultima riflessione ci fa capire un ulteriore aspetto profondo: l’ascolto critico è intenzionale. Non ascoltiamo perché vogliamo semplicemente rilassarci, oppure perché vogliamo solo “sentire della bella musica” ed emozionarci. Se lasciamo che la mente “voli altrove”, trascinata da emozioni e sensazioni, smettiamo di ascoltare criticamente. Non che sia sbagliato ascoltare “solo” per provare emozioni – in fin dei conti questo è proprio il motivo principe per cui ci approciamo alla musica. La differenza però è che senza un approccio intenzionale orientato a elaborare un’analisi critica di ciò che ascoltiamo, l’ascolto rimane in una dimensione più istintiva. Ascoltiamo perché vogliamo soddisfare la necessità di vivere un’immersione emotiva, forse a tratti anche taumaturgica, per farci sintonizzare con le nostre emozioni più profonde e potenti. Ancora una volta Robert Harley chiarisce bene la distinzione tra ascoltare per il piacere di provare emozioni (pur rimanedo focalizzati sull’ascolto) e l’ascoltare per portare a termine una qualche forma di valutazione. L’audiofilo non è un semplice ascoltatore di musica. L’audiofilo dovrebbe essere in grado di approciare alla musica in modo più selettivo, più critico. In altre parole in modo posturato.
Per quanto detto fin qui, l’ascolto critico che un audiofilo è in grado di effettuare richiede una postura selettiva, concentrata e focalizzata, unitamente al linguaggio tecnico per esprimere l’analisi. Ogni altro tipo di “ascolto”, con le conseguenti non-posture, chiamamolo pure come vogliamo, ma non diciamo che stiamo ascoltando musica.
Note Bibliografiche
[Casini95] Casini, C. “L’arte di ascoltare la musica”. Ed. Rusconi. Milano. 1995.
[Harley15] Harley, R. “The complete guide to high-end audio” 5/E. Acapella Publishing. 1994-2015