La grande illusione dell’alta fedeltà

Apriamo una brochure o un depliant pubblicitario di un prodotto Hi-Fi, che sia un amplificatore, una sorgente o un diffusore, e con buona probabilità incapperemo in uno slogan del tipo “con il prodotto X finalmente potrai sentire la musica come l’artista l’ha concepita” o ancora “rivivi le sensazioni di un’esperienza live esattamente come se fossi davanti agli artisti mentre suonano”. Non c’è dubbio che l’alta fedeltà mira a trasmettere un messaggio sonoro in grado di emozionare al punto da farci “materializzare” artisti e strumenti, con tutto il palcoscenico annesso, di fronte a noi, mentre siamo seduti comodamente in poltrona nelle mura domestiche delle nostre case. Più è appagante tale esperienza, più ne traiamo godimento. Questo è indubbio.

L’esperienza appagante, tuttavia, si basa su una riproduzione artificiosa, un’illusione. Per capirlo dobbiamo considerare che l’ascolto audio è un fenomento percettivo alla cui base c’è la psicoacustica. Noi percepiamo una riproduzione come buona, coinvolgente, “fedele” quando non contiene artefatti fastidiosi più che quando contiene davvero tutta l’informazione che percepiremmo in un evento live. In altre parole, come abbiamo altre volte ribadito, l’alta fedelta si ottiene quando l’impianto non aggiunge nulla rilevando al contempo il massimo dell’informazione presente nel segnale di ingresso. Se si deve raggiungere un compromesso in termini qualitativi (ed economici), è di gran lunga preferibile ascoltare un’impianto che “toglie” qualcosa al segnale, ma riproduce correttamente tutta l’informazione restante. (E, si badi bene, non si giudica qui il tipo di musica ma solo il modo in cui viene riprodotta.) Gli slogan pubblicitari apparentemente sembrano ignorare questa considerazione,  facendo perno proprio sulla porzione di contenuto sonoro “persa” (dalla concorrenza) per evidenziare le caratteristiche eccelse del loro prodotto di riferimento, progettato per preservare intatta la purezza del suono. Ovviamente, lo scopo di uno slogan pubblcitario è vendere, quindi considerazioni di buon senso passano spesso in secondo piano nel messaggio di marketing.

Detto ciò, perché l’alta fedeltà è un’illusione (seppure piacevole e suggestiva)? Per capirlo farò riferimento a un evento a cui ho assistito di persona nel 2010: il concerto di Peter Gabriel all’arena di Verona. Le immagini di quella serata sono ancora scolpite nella mia memoria, a tratti vivide come fosse ieri. In particolare ricordo la strabiliante esecuzione di Red Rain, con la voce incalzante di Gabriel accompagnata da un’orchestra di 50 elementi: la New Blood Orchestra, diretta da Ben Foster. Ebbene, alla fine del concerto pensai subito a come sarebbe uscita l’incisione di quel brano, dato che avevo scorto telecamere e microfoni pronti a registrare, compresi due cameramen che si aggiravano furtivi tra le quinte. A distanza di anni, nessuna delle registrazioni di quell’evento che ho potuto ascoltare è mai riuscita a rievocare lo stesso pathos di quella sera. Neanche gli ascolti delle incisioni della pur ottima serie Encore di analoghi concerti live si sono mai avvicinati a riprodurre fedelmente l’esperienza immersiva del concerto in arena. La ragione è tecnica e può essere compresa se analizziamo i passaggi principali che il suono subisce dall’esecuzione live di cui siamo testimoni fino alla riproduzione nelle nostre sale.

Innanzitutto quello che noi percepiamo nell’esperienza live è il risultato della fusione dei campi d’onde sonore che si propagano in ambiente fino ad arrivare alle nostre orecchie per essere poi interpretati dal cervello. Tali onde ci arrivano con un livello di intensità che dipende da svariati fattori come la nostra posizione rispetto ai musicisti, l’acustica ambientale, il livello di umidità dell’aria, etc.

Spostiamoci ora nel nostro salotto e inseriamo (senza perdita di generalità) un compact disc nel nostro impianto stereo. Su questo cd troviamo incisa la registrazione dell’evento da noi (ipoteticamente) ascoltato nell’esperienza live. Da dove viene il suono che ascoltiamo? Dai diffusori, direte. No, i diffusori (e l’ambiente d’ascolto domestico) sono l’ultimo passaggio di una catena di cambiamenti a cui il suono originale (quello prodotto dai musicisti nell’esperienza live registrata) è sottoposto. Il primo di questi cambiamenti avviene quando le onde sonore prodotte dagli strumenti vengono captate da una batteria di microfoni opportunamente collocati. Nessuno di questi microfoni, con la loro sensibilità, la loro posizione e la loro tipologia di funzionamento, registra davvero il suono che le nostre orecchie sentirebbero, se collocati nella nostra (ipotetica) posizione d’ascolto live. Per catturare un segnale sufficientemente forte e preciso, i microfoni di registrazione vengono spesso posizionati a pochissima disatnza da chi si sta esibendo. Un violino solista, ad esempio, potrebbe essere registrato da un microfono collocato a una distanza di pochi centimetri. La particolarità del violino, tra l’altro, è che ha una forte direzionalità: le frequenze dai 200 Hz ai 500 Hz tendono a diffondersi a 360° in ambiente mentre quelle comprese tra i 2500 Hz e i 5000 Hz tendono a diffondersi esclusivamente verso l’alto attraverso un “cono di emissione” piuttosto stretto. Analogamente, un’oboe si contraddistingue per una direzionalità del suono caratteristica di tale strumento, che si differisce nettamente da quella del violino, ma che segue gli stessi principi di diffusione in ambiente, come illustrato in Figura 1. (Si notino i coni di emissione delle frequenze a 1000 Hz e a 2000 Hz, anche qui estremamente direzionali verso l’alto)

Immagine correlata
Figura 1Direzionalità caratteristica dell’oboe nel suo spettro di frequenze riprodotte

Ne segue che un microfono posto al di sopra del violino (o dell’oboe) registra soprattutto la componente di spettro sonoro diretta, perdendo la gran parte di quel suono (componenti riflesse o indirette) che deriva dalla fusione delle altre frequenze emesse in ambiente dallo stesso strumento e da quelli che lo accompagnano. Quando noi ci troviamo ad assistere alla stessa performance ma nell’esperienza live, le nostre orecchie catturano invece sia la componente diretta del suono (quella rivolta verso di noi), sia le componenti riflesse dall’ambiente. Si tratta di una sorta di campo sonoro “di ritorno” che ci raggiunge con intensità smorzate (le onde sonore riflesse dall’ambiente perdono energia) e con un certo ritardo temporale rispetto alla componente diretta ma che influisce in modo sostanziale nella caratterizzazione di un suono “rotondo” e avvolgente che poi è ciò che ci affascina mente ascoltiamo. Tutta questa “fusione” di onde sonore (che avviene, tra l’altro, contemporaneamente per tutti gli strumenti) non è percepita dai microfoni di registrazione, se non in misura molto marginale. Non solo, ma se provassimo ad ascoltare la traccia sonora “catturata” da un microfono posto al di sopra di un violino, la giudicheremmo inascoltabile quanto stridente risulterebbe (altro che violini setosi di cui si legge in molti blog di chi forse non ha mai davvero ascoltato dal vivo un violino… ma su questo punto ci torneremo in chiusura d’articolo).

Pur alleviando il problema della direzionalità del microfono di registrazione adottando microfoni non direzionali, nulla possiamo fare per ovviare alla diversa collocazione dei microfoni rispetto al nostro punto d’ascolto durante la performance live. Il primo grande problema dell’alta fedeltà nelle riproduzioni domestiche, dunque, è causato dalla modifica al segnale originale effettuata dai microfoni di registrazione: ciò che registrano tali microfoni semplicemente non è quello che sentono le nostre orecchie durante l’esperienza live. Come può ora un disco che contiene un’informazione così lontana dal contenuto percepito dalle nostre orecchie suonare in un impianto dandoci l’illusione di assistere alla stessa performance live?

In questo preciso momento inizia a nascere l’illusione dell’alta fedeltà (direi anche la necessità dell’illusione). Ma questo è solo l’inizio. Dopo questo primo passaggio di alterazione del suono originale, entra in gioco un secondo livello di modifica del suono: il cosiddetto mixing. Il responsabile della registrazione sceglie quali siano i migliori segnali audio da masterizzare. Le tracce di tutti i microfoni di registrazione vengono analizzate e, alla fine, il tecnico di registrazione ne sceglie un insieme di riferimento. A queste tracce viene applica una serie di filtri, riequalizzazioni e altre operazioni al fine di creare quel “giusto mix” che rende il suono “apparentemente corretto”. Alla fine le tracce vengono “fuse” in modo da ricomporre i contributi di tutti i microfoni di registrazione selezionati e tentare di “assemblare” un’immagine sonora simile a quella che un ascoltatore percepirebbe, con un certo livello di arbitraria approssimazione. Per effettuare la verifica di “correttezza” le tracce mixate vengono riprodotte da specifici diffusori concepiti per essere “rivelatori”: i cosiddetti monitor di studio. Quando il mix finale sembra suonare in modo soddisfacente, il mixing termina. Sul reale significato del termine “soddisfacente” c’è un ampio margine interpretativo in quanto gli standard qualitativi nelle registrazioni audio non sono ancora ben definiti [Toole, 21013]. Spesso “soddisfacente” è il risultato del gusto o della sensibilità del tecnico di mixaggio; in alcuni casi è lo stesso artista che collabora all’analisi del risultato finale; più spesso ancora si tratta di valutazioni prettamente commerciali, come l’enfatizzazione degli estremi di banda delle registrazioni ad ampia diffusione.

Abbiamo visto fin qui due livelli ben definiti di alterazione del segnale originale: il processo di acquisizione del suono da parte dei microfoni di registrazione e il mixaggio delle tracce di ciascun microfono al fine di ottenere un suono completo e organico. Completano questa “catena industriale” di elaborazione del suono le successive fasi di adattamento del contenuto in frequenza del segnale e di registrazione finale sulla sorgente master (masterizzazione) da cui si ottiene il contenuto riversato nei compact disk che ascoltiamo nei nostri impianti. Arrivati sin qui (acquisizione del segnale, mixing delle tracce audio dei microfoni, post-processing e masterizzazione finale) ormai la fedeltà del segnale originale è andata irrimediabilmente perduta e non c’è più nulla che il nostro (anche costosissimo) impianto possa fare per recuperarla (le alterazioni che il suono originale subisce dalla sua emissione nella performance live fino alla sua riproduzione nella catena di ascolto domestica sono infatti di tipo lossy, ossia con perdita di informazione).

Floyd E. Toole [Toole, 21013] sintetizza magnificamente le precedenti considerazioni nel suo testo di riferimento “Sound Reproduction: Loudspeakers and Rooms”:

 During a recording, microphones can sample only a tiny portion of the complex three-dimensional sound field surrounding musical instruments in a performance space. What is captured is an incomplete characterization of the source. During playback, a multichannel reproduction system can reproduce only a portion of the complex three-dimensional sound field that surrounds a listener in a live performance. What is reproduced will be different from what is heard at a live event.

E ancora:

In the context of sound recording, far from being a reproduction of the actual event, the recording is [more like] a “re-creation”. The goal is not imitation but the creation of specific listener experiences. […] Sound reproduction requires a certain level of faith in the apparatus and a certain familiarity with was to be reproduced.

Quest’ultimo passaggio è illuminante, per due ragioni. Da un lato, perché ci fa capire che l’alta fedeltà è davvero il risultato di un’illusione, di una sorta di magia: creare una copia non esatta del segnale originale, ma altrettanto suggestiva, priva di alterazioni come distorsioni e aberrazioni che risultano innaturali (sgradevoli) nell’esperienza d’ascolto. Da un altro lato, l’illusione riesce bene quando il segnale riprodotto è molto affine al segnale originale. Detto diversamente: per giudicare l’alta “fedelta” di un impianto servono un certo livello di fede negli apparati dell’impianto stesso e, al contempo, una certa dose di familiarità col messaggio sonoro riprodotto. Come possiamo, infatti, giusdicare la riproduzione fedele di un organo se non abbiamo mai ascoltato un organo suonare dal vivo? C’è un bellissimo articolo sul numero 283 (luglio 2019) di Fedeltà del Suono che ha come obiettivo raccogliere le esperienze di psicoacustica di alcuni cultori di “estetica della musica riprodotta” mentre ascoltavano una coppia di Klipsch Forte III. Tra loro è presente il Maestro pianista professionista Lorenzo Bavaj (per chi non lo conoscesse, Lorenzo Bavaj è il pianista ufficiale del tenore José Carreras). Nelle pagine della rivista è stato molto istruttivo leggere come il Maestro confronta il suono del pianoforte emesso dalle Forte III con quello che le sue orecchie percepiscono dalla sua posizione di esecutore e, in modo altrettanto caratterizzante, dalla sua posizione di ascolto quando partecipa da spettatore ai concerti di suoi colleghi. Senza questo metro di paragone, è in effetti impossibile giudicare il livello di “fedeltà” della riproduzione. Ascoltare dal vivo uno strumento suonare non è soltanto un’esperienza immersiva e appagante di per sè: è un’esperienza istruttiva che ci rende migliori audiofili perché aumenta la nostra capacità di esercitare l’ascolto critico.

In conclusione, l’alta fedeltà è un mondo affascinante, ma è importante comprendere bene da dove viene il suono che stiamo riproducendo all’interno del nostro impianto e non cadere nelle trappole degli slogan commerciali che di alta fedeltà spesso nulla sanno e il cui scopo è solo quello di aumentare le vendite di un prodotto. Dobbiamo sempre tenere presente che ciò che stiamo ascoltando in una riporduzione domestica è il risultato di (aspesso arbitrarie) manipolazioni del suono originale concepite apposta per creare una suggestione, data l’impossibilità di ricreare davvero l’esperienza sensoriale della performance live. Anche se la catena di manipolazione discussa in questo articolo è solo indicativa (il processo reale può cambiare in ciascuna delle fasi descritte, ad esempio perché la riequalizzazione viene svolta a valle del mixing o per la presenza di altre fasi non menzionate), la modifica è sempre irreversibile. Tutti gli slogan di riprodurre un evento sonoro come lo ascolteremo dal vivo sono dunque fuorvianti in quanto è già il segnale di ingresso ad essere diverso. Quello che dovremmo chiedere al nostro impianto affinché si possa definire ad alta fedeltà è invece tutta un’altra serie di caratteristiche che si comprendono solo attraverso l’ascolto critico, caratteristiche come la coerenza timbrica e temporale, la spazialità, la focalizzazione, ecc. Lo scopo di questo blog, molto umilmente, è anche quello di raccontare (quello che ho capito) di queste “cose qui” 🙂  che non troveremo mai nei messaggi pubblicitari ma che poi sono essenziali per allestire un impianto equilibrato e appagante. (E senza spenderci una follia, come invece il trend dell’Hi-End è propenso a farci fare.)

Buon ascolto a tutti!

 

Bibliografia

[Toole, 21013] Floyd E. Tool. Sound Reproduction: Loudspeakers and Rooms. Focal Press. 2008; Reprint revised edition 2013

Credits.

  1. L’immagine di Figura 1 relativa alla direzionalità caratteristica dell’oboe nel suo spettro di frequenze riprodotte è tratta dal sito Gearslutz.com. Un’analoga immagine per il violino è tratta dal testo [Toole, 21013]

2 pensieri riguardo “La grande illusione dell’alta fedeltà

  1. Personalmente ritengo che l unico progresso avvertibile sia stato il passaggio dai fonovaligia agli impianti stereo degli anni 70, dopo si sono eliminati tutti i dispositivi x il controllo di tono riportando l hi FI indietro nel tempo inclusi i diffusori con woofer da 13 cm

    "Mi piace"

    1. Grazie Alfredo per il commento. Gli anni ’70 sono stati un periodo musicalmente magico che ha visto l’affermazione di gruppi musicali innovativi su svariati generi. Anche l’audiofilia domestica è esplosa, sia dal punto di vista delle apparecchiature (dai “compattoni” agli impianti stereo a componenti separati), sia da quello della cultura all’ascolto critico. Sui controlli di tono il discorso si fa un po’ più complesso. Se abbiamo una stanza un minimo trattata (o quantomeno “predisposta”), un impianto decoroso e una buona registrazione, se ne sente davvero il bisogno? Per contro, quanti hanno la competenza per usarli coerentemente? Certo, su questo aspetto esprimo un parere del tutto personale, ma mi sembra un po’ come quelle persone che usano Power Point e non hanno idea di come si progetti e realizzi una presentazione, non conoscono i rudimenti della tipografia, del design grafico e della comunicazione visiva. Mi rendo conto però che la tematica è per certi versi soggettiva e non mi dilungo oltre. Rispettando il suo punto di vista, posso dire che il mercato dell’usato propone oggi ancora delle apparecchiature “vintage” che le permetteranno di godere di tale funzionalità. E allora buona musica, che poi è il messaggio più importante che da questo piccolo blog ha senso dare. Grazie per la sua lettura.

      "Mi piace"

Scrivi una risposta a Andrea Baruzzo Cancella risposta